LA LITE TRIBUTARIA E IL SENSO DELLA MISURA (Gazzetta Tributaria n.19/2024)

LA LITE TRIBUTARIA E IL SENSO DELLA MISURA (Gazzetta Tributaria n.19/2024)

19 – Una considerazione sulla necessità di un filtro che limiti le controversie e il diritto, inderogabile, di adire la magistratura come stabilito dalla Costituzione.

 

L’art.24 della nostra Costituzione sancisce un principio che è caposaldo dello Stato moderno e democratico: tutti hanno diritto di agire in giudizio per la difesa dei propri interessi (più volte su queste pagine abbiamo ricordato la frase di Brecht su ……ci sarà un giudice a Berlino…).

Però l’apprezzamento dell’art. 24 citato vacilla quando si procede all’esame delle varie pronunce della suprema magistratura anche tributaria, la Corte di Cassazione, che a volte deve sentenziare su situazioni che lasciano allibiti.

Pochi giorni fa è stata pubblicata la sentenza n. 2267 del 23 gennaio 2024 della Suprema Corte che viene qui commentata solo per indurre una considerazione sul diritto a far valere le proprie ragioni e il senso della misura che a volte si perde!

E una pronuncia inutile rischia di guastare tutto lo scenario della certezza del diritto e della sua necessità!

Un contribuente impugna nel 2010 davanti la Commissione Tributaria Provinciale una cartella di pagamento per TARSU anni 2002/2008; ottiene parzialmente ragione in quanto alcune annualità vengono cancellate in quanto prescritte ma appella la sentenza non essendo soddisfatto della pronuncia.

La Commissione Tributaria Regionale respinge nel 2016 l’appello e il contribuente ricorre in Cassazione che deve pronunciare sulla vicenda; nel frattempo la controversia viene estinta per intervenuto annullamento della partita a seguito del D.L.119/2018 che aveva annullato i debiti tributari di importo residuo inferiore a mille euro, (era uno stralcio d’ufficio, senza istanza di parte)

Perché, è questo il motivo delle nostre note, tutta la controversia origina da una iscrizione complessiva di 780euro, ridotta a metà in primo grado ma proseguita sino al massimo consesso.

Tre gradi di giudizio, a Roma anche un Sostituto Procuratore Generale ha dovuto esprimere il proprio giudizio (estinzione!), siamo alla terza sentenza nel merito e, in base alle norme esistenti sono state compensate le spese dell’intero giudizio!

È vero che la Costituzione, come abbiamo citato, impone un diritto assoluto alla giurisdizione, ma proprio in termini tributari spesso vengono usati il metro e la valutazione dell’economicità di un comportamento per valutarne la fondatezza: e in questo caso?

Se consideriamo la dimensione globale sono stati impegnati almeno due difensori, 3+3 giudici per i giudizi di merito, 5 giudici per la Cassazione, oltre all’obbligatorio parere della Procura Generale, tutti assistiti dal necessario personale di cancelleria, e l’oggetto del contendere non raggiunge i quattrocento euro: non si riesce a valutare il costo reale per le istituzioni, oltre che il disagio psicologico di dover stendere una sentenza che riconosce l’inutilità di una vertenza chiusa da un provvedimento di clemenza e del valore assoluto di 400 euro!

E’ difficile stabilire il confine tra il diritto di agire giudizialmente e l’onere per la società di fronte a questioni veramente bagatellari!

Comunque, in ogni caso, quello che perde è il senso della misura!

 

Gazzetta Tributaria 19, 02/02/24

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