LA CASSAZIONE È CAPACE DI MUTARE ORIENTAMENTO, L’AGENZIA NO! (Gazzetta Tributaria n.25/2024)

LA CASSAZIONE È CAPACE DI MUTARE ORIENTAMENTO, L’AGENZIA NO! (Gazzetta Tributaria n.25/2024)

25 – Quanto la cartella di pagamento è anche un atto impositivo può subire una impugnazione complessa.

Non ci stancheremo mai di “predicare” il comportamento in buona fede delle parti, ma il processo tributario, invece, spesso presenta posizioni di arroccamento che non consentono di sentire ragioni.

L’ordinanza n. 2901 del 31 gennaio 2024 della Corte di Cassazione riepiloga bene questo scenario, unitamente ad un inesorabile fenomeno di trascuratezza del decorso del tempo!

In relazione all’anno 2006 (quasi vent’anni fa!) viene emessa nel 2010 una cartella da liquidazione automatica ex art.36bis, tempestivamente impugnata; interviene uno dei tanti condoni, ed esattamente quello del 2011 e il contribuente presenta istanza per l’applicazione del provvedimento agevolativo.

L’istanza viene respinta sul presupposto che la cartella era solamente un atto di riscossione e non un atto impositivo e quindi la vertenza non poteva essere definita.

Contro il diniego di agevolazione veniva instaurato un formale contenzioso che vide il contribuente soccombente in primo grado ma vittorioso in appello.

Nel 2016 l’Agenzia ricorre in Cassazione contro questa sentenza, affermando ancora che una cartella di pagamento è sempre e solo un atto di riscossione e quindi una sua impugnativa non costituisce lite pendente sul presupposto.

Questa tesi era stata anche convalidata da pronunce della Cassazione che sino al 2018 ha condiviso la natura di semplice atto di riscossione della cartella di pagamento.

Ma lo scenario cambia!

Interviene da ultimo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite che con la sentenza n. 18298 del 25 giugno, 2021 modificando il precedente orientamento, afferma il principio di diritto che riconosce alla cartella di pagamento non preceduta da altri atti la natura di atto impositivo.

Questa sentenza, un punto fermo nella costruzione dei documenti dell’Agenzia, segue di cinque anni il ricorso dell’Agenzia sul caso de quo, e cristallizza la regolarità del comportamento del contribuente; è stata confermata poi da numerose pronunce della sezione tributaria della Cassazione.

Eppure il tempo trascorre invano e la Corte è chiamata, circa otto anni dopo il ricorso, a ribadire che la cartella di pagamento è atto impositivo se non preceduta da atti preparatori, e che non vi erano ragioni per negare il diritto alla definizione agevolata della lite pendente, che nel frattempo si avvia a celebrare il suo quindicesimo compleanno!

Il principio del giusto processo per rispetto della celerità è ben lontano da questi tempi.

L’Agenzia è stata anche condannata a risarcire le spese di lite al contribuente.

E’ sorprendente come siano i giudici del Supremo Consesso a mutare opinione, mentre l’Agenzia non vuole sentire ragioni e continua in un comportamento ostinatamente miope.

Eppure il principio di buona fede dovrebbe consentire di mutare parere quando le condizioni esterne lo richiedono (e una pronuncia delle Sezioni Unite sono tali!) e forse dovrebbe essere l’Avvocatura di Stato a sollecitare un abbandono di quelle vertenze solo di principio.

Ma questa, invece, è la dimostrazione che non esiste il Fisco amico!

Gazzetta Tributaria 25, 16/02/2024

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