IRAP E LAVORO AUTONOMO: LE VERTENZE NON SONO FINITE! (Gazzetta Tributaria n.59/2023)

IRAP E LAVORO AUTONOMO: LE VERTENZE NON SONO FINITE! (Gazzetta Tributaria n.59/2023)

59-La Cassazione è chiamata continuamente a pronunciare sulle pretese dell’Agenzia che vorrebbe (anche se lo stesso legislatore ha di fatto smentito con le modifiche legislative) una soggettività IRAP per tutti gli autonomi.

 

Probabilmente le controversie sull’IRAP (ricordiamo quella sull’impresa familiare – Gazzetta Tributaria n. 78/2022) continueranno a riempire le pagine dei commenti ancora per anni, anche perché vi è una strenua difesa dell’imponibilità ad ogni costo da parte dell’Agenzia, come dimostra la vicenda che descriviamo e come ricorda la strenua battaglia per i consulenti finanziari.

Un commercialista milanese chiede il rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2006 e 2007, vince in primo grado, perde in appello e ricorre in Cassazione che nel 2016 accogliendo il ricorso del professionista pronunciò ordinanza di rinvio per valutare l’esistenza della struttura organizzata.

Riassunto il giudizio viene nuovamente negato il rimborso e il contribuente ricorre per la seconda volta in Cassazione.

Con l’ordinanza n. 14193 del 23/05/2023 la Suprema Corte ha nuovamente ribadito che una volta dimostrata l’inesistenza della struttura autonoma rilevante di organizzazione non può esservi imponibilità IRAP, anche se vengono prospettati elementi indiziari.

Merita sottolineare quali sono questi elementi proposti dall’Agenzia che pretende di applicare l’imposta “ad ogni costo”.

  1. L’utilizzo di uno studio spazioso lascia presumere che vi siano più collaboratori, e con pazienza la Suprema Corte sottolinea che l’esistenza dei collaboratori deve essere dimostrata e non presunta, oltretutto sulla base di un elemento così ipotetico come l’ampiezza dello studio;
  2. Il riconosciuto prestigio e l’attività di alto livello svolta sono valutazioni qualitative che nulla hanno a che fare con l’esistenza di una autonoma organizzazione;
  3. L’esistenza di più linee telefoniche (!) che giustificano una struttura complessa.

La Suprema Corte, forse spazientita, ha rilevato che le dichiarazioni del contribuente per detti anni non erano state accertate e rettificate e che da tali dichiarazioni si evince la mancanza di spese per collaboratori e di spese minime per consumi, e questa volta ha cassato senza rinvio la sentenza della C.T.R, della Lombardia accogliendo quindi il ricorso e con condanna dell’Agenzia alle spese di giudizio a vantaggio della parte privata.

Quindi 5 gradi di giudizio, una vertenza che spazia per quasi vent’anni, costi di difesa, anche erariali, certamente significativi e per difendere ad oltranza un’imposta che lo stesso legislatore ha riconosciuto da eliminare, tanto da escluderla per il lavoro autonomo tout court dal 2022.

Ma la volontà impositiva appare a volte anche più forte dell’evidenza!

 

Gazzetta Tributaria 59, 29/05/2023

 

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