IN CASTIGO! L’ AGENZIA MANCA AL PROPRIO DOVERE DI UTILIZZARE PROVE (Gazzetta Tributaria n.69/2024)

IN CASTIGO! L’ AGENZIA MANCA AL PROPRIO DOVERE DI UTILIZZARE PROVE (Gazzetta Tributaria n.69/2024)

69 – Una pronuncia dei giorni scorsi dà la sensazione che a volte anche la Cassazione voglia sanzionare le esagerazioni dell’ Agenzia con una “pena” pecuniaria!

 

Le frodi carosello in materia di IVA sono, purtroppo all’ordine del giorno e dato che sono atomicamente diffuse a volte coinvolgono anche soggetti ignari e completamente estranei.

Un caso del genere sembra sia stato portato all’attenzione anche della Corte di Cassazione che (almeno per quanto si deduce dalla ricostruzione nella descrizione dei fatti) smonta e dichiara inattendibile la costruzione indiziaria dell’Agenzia respingendo il ricorso contro le sentenze di merito che avevano annullato l’accertamento.

Un commerciante di carni viene accertato perché tra i suoi fornitori vi era un nominativo ritenuto attore in una frode IVA; gli accertamenti al nostro commerciante presumevano che le fatture fossero “soggettivamente” inesistenti, quindi che l’acquisto ci sia stato ma tra altri soggetti.

Nessun’altra prova se non alcune dichiarazioni dell’amministratore della società fornitrice.

La mancanza di prove induce la Corte di Merito ad annullare l’accertamento (riguarda il 2002, e il tempo stempera le situazioni!) ma l’Agenzia ricorre in Cassazione, per riaffermare che le sue affermazioni valgono come prova.

Il commerciante accertato neppure si costituisce avanti la Suprema Corte.

Con l’ordinanza n. 12859 del 10 maggio 2024 la Corte di Cassazione rigetta il ricorso per mancato assolvimento dell’onere della prova che grava in capo all’Ufficio; sin qui nulla di nuovo, specialmente dopo l’emanazione delle nuove norme sul carico di prove all’Agenzia (art.7, c.5 bis D.Lgs. 546/92)

Ma nelle ultime righe la Corte vuole sanzionare l’Agenzia per un comportamento a dir poco incauto e mutuando un principio del processo penale condanna l’Agenzia a versare una somma alla “Cassa Ammende”.

Non può condannare l’Ufficio a rifondere le spese di lite al contribuente perché non è costituito in Cassazione; ma l’Agenzia deve essere punita per la sua leggerezza ed ecco la condanna a versare un importo alla Cassa Ammende, quel contenitore dove i condannati nei processi penali devono versare una contribuzione: lo Stato (Agenzia) deve versare una sanzione allo Stato (Cassa Ammende)!

È evidente la volontà di “castigare” l’Agenzia per un comportamento leggero, e deve essere l’interprete a segnalare la particolarità del caso, che dimostra anche una certa indipendenza della Suprema Corte.

 

Gazzetta Tributaria 69, 31/05/2024

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