IL GIUDICE PUO’ AUTOMAMENTE ESCLUDERE LE SANZIONI TRIBUTARIE (Gazzetta Tributaria n.52/2024)

IL GIUDICE PUO’ AUTOMAMENTE ESCLUDERE LE SANZIONI TRIBUTARIE (Gazzetta Tributaria n.52/2024)

52 – Una recente ordinanza di Cassazione ribadisce il dovere del giudice di disapplicare sanzioni anche se non vi è espressa richiesta.

  

Pochi giorni fa è stata depositata l’ultima pronuncia della Corte di Cassazione in materia di disapplicazione delle sanzioni tributarie anche in assenza di espressa richiesta preventiva del contribuente, segnando un punto a favore dei cittadini nella contesa oramai annosa.

Le norme tributarie, tutte, contengono la previsione della salvezza da sanzioni per i contribuenti che, pur avendo sbagliato, sono stati tratti in inganno dalla complessità delle norme e dalla oggettiva incertezza sull’ambito di applicazione.

Questa esimente è contenuta nel D.Lgs. 472/97 con le norme generali sulle sanzioni (art.6 che diventerà art.5 nel nuovo testo del decreto sulle sanzioni); nell’art. 8 del decreto 546/92 sul contenzioso, che diverrà il n. 57 nel nuovo Testo Unico; nell’art.10 dello Statuto del Contribuente, ma tutt’oggi è abbastanza incerto a chi spetti l’impulso per azionare questa esimente.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2604 del 29/01/2024 ha riaffermato un principio che ancorché maggioritario non è universalmente condiviso: “Il potere di disapplicazione delle sanzioni per violazioni di norme tributarie è esercitabile d’ufficio dal giudice tributario, quando accerti che le stesse cono state commesse in presenza ed in connessione con una condizione di oggettiva incertezza nell’interpretazione normativa, e non postula una domanda di parte, la quale, se avanzata, ha natura di mera sollecitazione”

E’ certamente più facile esprimere la richiesta di applicazione dell’esimente da sanzione nel ricorso originario, ma una pluralità di motivi possono non aver fatto riportare tale domanda.

La Cassazione con la pronuncia citata ha ritenuto perfettamente valida la disapplicazione della sanzione disposta autonomamente dal giudice di merito, magari sollecitato in udienza, anche in assenza della domanda originaria (ricordiamo che i motivi del ricorso devono essere indicati, tutti, nel ricorso stesso e non sono ammissibili motivi aggiunti in nessuno dei tre gradi).

Ma se la norma può essere applicata d’ufficio dal giudice anche l’assenza della richiesta di esimente nel ricorso viene sanata dall’autonoma capacità del giudice di pronunciare, e questo può essere richiesto in ogni fase del percorso contenzioso.

La stessa ordinanza che commentiamo indica che vi sono state pronunce contrarie a tale interpretazione, anche abbastanza recenti, ma vuole segnare un nuovo punto fermo.

Certamente è bene indicare l’esimente dell’incertezza e quindi la salvezza da sanzioni in ogni ricorso in primo grado, ma se fosse sfuggito, ovvero si tratti di un subentro in una difesa già iniziata nulla è perduto, se vi è l’oggettiva percezione di una situazione di incertezza.

Questo vuol dire che in taluni casi varrà la pena di ricorrere sino in Cassazione per vedere riconosciuta questa esimente.

Questa volta il nostro mugnaio il giudice lo trova Roma, e non a Berlino, (citazione da Brecht, Gazzetta n.19/2024).

 

Gazzetta Tributaria 52, 18/04/2024

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