Gazzetta Tributaria Edizione 12/2020 contributi (n. 25-26)

Gazzetta Tributaria Edizione 12/2020 contributi (n. 25-26)

26- BONUS MASCHERINE ED I NUMERI SBAGLIATI

Il famigerato click day colpisce anche i richiedenti il rimborso delle spese per le protezioni dei dipendenti (divisi in serie A oppure B)

 

Anche l’emergenza sanitaria, e conseguentemente economica, non cancella le brutte abitudini di proporre scadenze e adempimenti di difficile realizzazione e di contenuto a volte irraggiungibile!

Non comprendiamo, poi, la passione per la corsa all’iscrizione telematica (click day) specialmente quando gli apparati riceventi sono inadeguati.

Questa volta l’attenzione si concentra sul credito d’imposta per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale per i dipendenti (mascherine, gel, guanti e occhiali, schermi ecc.) previsto dal D.L.18/2020, che fissa un limite di rimborso di € 500 per dipendente e un massimo di € 150.000 per impresa (pari a 300 dipendenti).

Per ottenere il credito d’imposta le imprese dovevano prenotarsi, con domanda in via telematica dal giorno 11 maggio al 18 maggio 2020.

Il sistema è esploso, con oltre sessantamila domande in un minuto e centomila in meno di un’ora, con richieste di crediti per oltre un miliardo di euro a fronte di una capienza totale di soli 50 milioni, con blocchi informatici e certamente la previsione di una larga platea di scontenti.

Eppure non sarebbe stato difficile prevedere che tutto il panorama produttivo italiano si sarebbe mobilitato per cercare di attenuare questo maggior onere (la sicurezza sanitaria) che si abbatte come una mannaia su un settore asfittico.

Ma la vicenda ha messo in luce anche un altro sgradevole elemento di discriminazione: esistono dipendenti di serie A e di serie B: il beneficio è riservato ai dipendenti di imprese e non ai dipendenti di lavoratori autonomi !, anche se in forma di società di professionisti o studi associati.

Invitalia, l’agenzia governativa che deve curare questa particolare settore, ha precisato ce il beneficio è limitato alle imprese escludendo quindi altre qualifiche del datore di lavoro.

Resta incomprensibile perché il dipendente di un centro di servizi possa godere di dispositivi di protezione con il contributo pubblico mentre il dipendente di un lavoratore autonomo no!

Magari i dipendenti svolgono le stesse mansioni, il contenuto dei contratti collettivi è sostanzialmente identico ma la qualifica imprenditoriale costituisce la discriminante invalicabile.

Ricordando la favola di Esopo sulla volpe e l’uva  la timida consolazione sarà che alla fin fine quasi nessuno riceverà il credito d’imposta, e quindi, salvo correzioni del legislatore che sta sfornando annunci e articoli di legge in modo parossistico, ben pochi conseguiranno il beneficio richiesto; anche gli esclusi potranno considerare l’uva non ancora matura!

 

 

Gazzetta 26, 2020

 

 

25- PRESCRIZIONE E DECADENZA DUE OSTACOLI PER LA RISCOSSIONE

Una recentissima sentenza di Cassazione prova a mettere ordine in una materia complessa e generalmente interpretata contro il contribuente.

 

Anche in periodo di sospensione da COVID 19 la produzione di sentenze prosegue e, ricercando con attenzione, può portare a scoperte interessanti.

Questo è avvenuto con la sentenza N.8719 depositata l’11 maggio 2020 in cui è stata espressa una definitiva pronuncia in merito alla prescrizione di un credito tributario (in questo caso per tributi locali) non riscosso per tempo.

Ricostruiamo la vicenda per quello che si evince dagli atti.

Un contribuente scopre per caso alla fine del 2012, da una richiesta allo sportello esattoriale, che vi sono iscrizioni relative ai ruoli del 2001, 2002, 2003, 2005 di cui non aveva avuto notizia.

Chiede al Comune l’annullamento in autotutela e contro il rigetto di questa richiesta presenta ricorso in CTP, con sentenza a lui favorevole; l’appello del Comune viene accolto e si va in Cassazione per far mettere un punto fermo alla possibilità di riscuotere tributi attraverso l’emanazione di cartelle di pagamento non conosciute dal contribuente e successivamente azionate magari dopo un paio di decenni.

Spesso il contribuente viene a conoscenza del carico esattoriale attraverso la notifica di un atto di ingiunzione che riepiloga la successione dei ruoli, in genere ignoti, nel tempo.

La Cassazione ha operato un netto distinguo tra il concetto di decadenza (lasciare trascorrere un termine entro il quale deve essere eseguita una certa azione) e prescrizione (modalità di estinzione di un diritto se non esercitato): per intenderci l’impugnativa di una cartella di pagamento deve essere esercitata entro 60 giorni dalla notifica a pena di decadenza e tale termine non può, di regola, essere interrotto; il credito indicato dalla cartella deve essere riscosso entro un termine di prescrizione (10 o 5 anni) e il decorso può essere interrotto e rinnovato dal compimenti di atti di interruzione.

Con motivazione limpida la Cassazione ha detto che il trascorrere del tempo fa maturare il termine di prescrizione anche se il contribuente era decaduto dal diritto di impugnare le cartelle, e  che d’ufficio o perché sollecitato dal contribuente l’ente impositore deve provvedere allo sgravio dei ruoli prescritti se non azionati validamente.

Quindi l’Ente impositore non può consentire che il concessionario della Riscossione agisca in relazione a crediti prescritti e se lascia che ciò avvenga sarà anche condannato al rimborso delle spese di lite.

Quindi un punto fermo che dovrebbe far desistere dall’azionare tutte quelle intimazioni che riguardano anche crediti di venti o trent’anni fa! come per altro capita ancora di vedere con frequenza.

Nei confronti del contribuente che non ha rispettato il termine di decadenza per l’opposizione alla cartella non esenta dall’osservanza del termine di prescrizione per l’esazione del relativo credito!!

 

 

Gazzetta 25, 2020

 

 

 

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