FISCO EQUO? O FORSE NO! (Gazzetta Tributaria n.118/2023)

FISCO EQUO? O FORSE NO! (Gazzetta Tributaria n.118/2023)

118 – Una recentissima pronuncia della Cassazione sottolinea, tra l’altro, come a volte la spinta impositiva sia cieca e vessatoria, con   termini che superano la normale asetticità lessicale del linguaggio della Suprema Corte.

 

Uno dei temi più dibattuti nel complesso panorama di tributi non riscossi, cartelle ammassate e contribuenti in difficoltà è la eventuale responsabilità “residua” del socio di società una volta che questa sia stata cancellata dal Registro Imprese.

Stiamo preparando una panoramica approfondita in merito, con richiami dottrinali e giurisprudenziali.

Ma l’occasione per cogliere, invece, lo “sfogo” del giudice che pur cercando di conservare una posizione equidistante esprime tutta la sua impazienza davanti a comportamenti vessatori non può essere tralasciata e quindi cogliamo al balzo l’occasione per stigmatizzare il comportamento dell’Agenzia (e anche dell’Avvocatura di Stato che ricorre sempre e comunque!)

Con ordinanza n. 28817 del 17 ottobre 2023 (fresca di stampa!) la Cassazione respinge la pretesa dell’Agenzia delle Entrate di riscuotere da un ex socio di società cancellata da oltre un decennio dal Registro Imprese i tributi dovuti dalla società per gli anni di attività.

L’ex socio non aveva ricevuto nulla dalla liquidazione della società, e non aveva mai ricoperto la carica di liquidatore.

La Suprema Corte afferma un principio cardine del nostro ordinamento: “tra la società di capitali ed i soci non appare configurabile un rapporto di solidarietà in ordine al pagamento dei debiti tributari.”

Principio condivisibile e sostanzialmente pacifico, tranne che, a volte, per l’Agenzia delle Entrate (e della Riscossione) che sembra ignorare la portata dell’art.2495 Codice Civile che limita la eventuale responsabilità ai proventi riscossi con la liquidazione.

Ma nel testo in esame la Cassazione va oltre e testualmente riporta:

” Non appare agevolmente comprensibile, né e stato illustrato dall’Amministrazione finanziaria, perché la pretesa avanzata nei confronti della società sia stata azionata, con richiesta di onorare per intero il debito fiscale, incluse sanzioni ed accessori, nei confronti del mero (ex) socio, pacificamente non avente ruolo di liquidatore (neppure ex).”

Conoscendo il linguaggio soft solitamente usato dai Supremi Giudici questa è, tra le righe, una vera e propria accusa di ingiustificato accanimento (siamo al terzo grado di giudizio e nei gradi di merito il contribuente aveva sempre vinto!) e di lite temeraria, e quindi respingendo il ricorso erariale la Corte condanna l’Agenzia alle spese legali.

Ma soprattutto questa sottolineatura smentisce nel modo più palese lo schermo di buonismo che il direttore Ruffini cerca di avanzare: Fisco non amico ma equo.

Dove si possa trovare in questa sequenza di pronunce l’equità dell’Agenzia non è dato comprendere, mentre rileviamo invece la volontà di proseguire, a testa bassa, nella pretesa di riscuotere quanto sperato, anche se non è dovuto!

Speriamo che la riforma che verrà consenta di riportare le posizioni ad un civile confronto, anche se i “Miti e Paradossi” di einaudiana memoria ricordano al lettore che la realtà è spesso insoddisfacente.

 

Gazzetta Tributaria 118, 25/10/22023

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