FORMALISMO E EFFICACIA REALE: A VOLTE SI PERDE L’OBBIETTIVO (Gazzetta Tributaria n. 176/2025)

FORMALISMO E EFFICACIA REALE: A VOLTE SI PERDE L’OBBIETTIVO (Gazzetta Tributaria n. 176/2025)

176 – Le risultanze contabili possono essere disattese dall’accertamento induttivo, anche quando vi è uno scostamento totale dalla realtà.

 

 

A livello di presunzioni in genere l’Agenzia delle Entrate si attiva quanto una gestione imprenditoriale appare anti-economica, sia perché genera perdite che nel caso di utili irrisori rispetto agli investimenti.

Sono concetti elementari, verificati spesso nella realtà professionale quotidiana, ma che trovano a volte una sorprendente conferma in pronunce della Suprema Corte.

Nel caso in esame si aggiunge anche la verifica della condizione del contribuente, e il vostro interprete rimane totalmente sconcertato!

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24773 dell’8 settembre 2025, commentata anche su Fisco Oggi del 22 ottobre 2025, afferma che nel caso di accertamento analitico induttivo, basato anche, ma non esclusivamente, sui risultati degli studi di settore non vi è obbligo di contradditorio; che la condotta aziendale può essere contestata non solo in presenza di perdite reiterate, ma anche in caso di utili irrisori e la circostanza che la società accertata gestisse una casa/albergo per pellegrini, connessa ad un santuario religioso e quindi rivolta ad un pubblico di limitate capacità di spesa non fosse sufficiente a giustificare la mancanza di imponibile.

Tutte queste conclusioni possono esser condivise o meno, ma vengono certamente travolte dal fatto che la pronuncia della Cassazione è stata rivolta ad una società dichiarata fallita, il cui fallimento è già stato chiuso e la società cancellata dal registro delle Imprese!

Il difensore della società, correttamente, aveva comunicato l’intervenuto fallimento ma la Corte non ha ritenuto di sospendere il processo, e tanto meno di estinguerlo!

Non solo, ma perdendo il collegamento con la realtà la Suprema Corte, respingendo il ricorso della società l’ha anche condannata a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di lite: a fallimento chiuso e società cancellata non è comprensibile chi dovrebbe pagare queste spese, che si rivolgono al nulla!

Forse una spiegazione può essere trovata nel decorso del tempo: l’accertamento riguarda l’anno 2006; il ricorso in Cassazione è del 2016, ma ha dormito per otto anni; il fallimento della società contribuente è stato chiuso nel 2022 mentre a Roma la vertenza è stata portata nella camera di consiglio del luglio 2025.

Vi sono, quindi, oltre otto anni di “latitanza” durante i quali sono avvenute importanti modifiche nello status della parte privata, ma di cui i Giudici non hanno tenuto conto emettendo una ordinanza nei confronti……del nulla!

Non vi è neppure da invocare il giusto processo, ma basterebbe richiedere un comportamento realistico: condannare alle spese di causa una società fallita, con fallimento chiuso da anni, sembra un comportamento dei personaggi del mondo di Alice di Lewis Carrol: l’opposto della realtà.

Invece Fisco Oggi nel suo commento ha taciuto sul problema dell’esistenza o inesistenza della controparte!

 

 

Gazzetta Tributaria 176, 23/10/2025

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